FLA2025

Lunedì 24 marzo 2025, ore 19:00

Jamaica Kincaid

PER LA PRIMA VOLTA A PESCARA

Passeggiata sull’Himalaya
(Adelphi Edizioni)

con Donatella Di Pietrantonio

*** Ingresso libero fino ad esaurimento posti

È una delle più importanti autrici al mondo, da anni fra i nomi favoriti per il premio Nobel per la Letteratura.

Jamaica Kincaid è in Italia per un serratissimo tour di sole cinque tappe, fra cui Pescara e il FLA.

In compagnia di Donatella Di Pietrantonio ci racconterà due viaggi: quello suggestivo alle pendici dell’Himalaya e quello altrettanto fascinoso dentro se stessa.

Descrivere Jamaica Kincaid è difficilissimo.
Potremmo dire che è una scrittrice antiguo-barbudana con cittadinanza statunitense.
Potremmo dire che la sua scrittura esplora il colonialismo, l’eredità e l’educazione coloniale, il postcolonialismo e il neocolonialismo.
Potremmo aggiungere che tratta anche temi come il genere e la sessualità, l’identità, la rinominazione, le relazioni madre-figlia e l’imperialismo britannico e americano.
Ma niente di tutto questo basterebbe.

Allora cominciamo col dire che Jamaica Kincaid è appassionata di giardinaggio.

La sua passione per piante e fiori risale a quando, ancora bambina, mentre imparava a leggere sulla Bibbia, ha esplorato il suo primo giardino, l’Eden.

Una passione che si collega quasi direttamente alla lettura
«La mia ossessione per il giardino e quanto vi accade è cominciata prima che io avessi familiarità con quell’entità chiamata coscienza. Mia madre mi ha insegnato a leggere quando ero molto piccola […] Le parole mi sono diventate familiari come fossero del tutto a sé stanti, ciascuna un mondo a sé, integro, autonomo, capaci di congiungersi con altre parole se lo desideravano o se qualcuno come me voleva».
(Jamaica Kincaid)

… e alla scrittura:
«Scrivere, come coltivare, è piantare semi senza mai la certezza che spunti quello che desideriamo».
(Viola Ardone parafrasando Jamaica Kincaid)

Questa stessa passione l’ha portata, nell’autunno del 2002 a fare una passeggiata sull’Himalaya in compagnia di tre botanici, alla ricerca di semi da piantare nel suo giardino del Vermont.

Semi botanici e semi letterari che hanno dato vita ad “Among Flowers. A Walk in the Himalaya” (Fra i fiori. Una passeggiata sull’Himalaya).

Tre settimane di faticoso cammino, fra paesaggi sempre mutevoli, di una bellezza vertiginosa e allarmante, inquietanti strapiombi a pochi centimetri dai piedi, improvvisi sbalzi di temperatura, le onnipresenti sanguisughe e guerriglieri maoisti mai indulgenti con chi proviene dagli Stati Uniti.

In Passeggiata sull’Himalaya la prosa di Kincaid conserva la stessa «spontaneità sontuosa» che le aveva attribuito una volta, con calzante precisione, Susan Sontag.

Una spontaneità che le permette di gettare, proprio come fosse un seme, uno sguardo sugli effetti perduranti e duraturi del colonialismo, ma anche sul senso più nascosto dell’esistenza, in un ambiente che – come quello himalayano – annienta le nostre nozioni di spazio e di tempo.

«Il genio ha molte sorprese, e una di queste è la geografia».
(Derek Walcott, a proposito di Jamaica Kincaid).

Jamaica Kincaid nata Elaine Cynthia Potter Richardson è una scrittrice antigua-americana, saggista, giardiniera e scrittrice di giardinaggio. Oggi vive a North Bennington, nel Vermont, ed è professoressa emerita di studi africani e afroamericani all’Università di Harvard.

Nasce a St. John’s, Antigua, un’isoletta delle Indie occidentali nel Mar dei Caraibi, divenuta indipendente all’interno del Commonwealth britannico nel 1981.

Non conosce il padre; la madre è una formidabile narratrice di aneddoti familiari, che le insegna a leggere a tre anni e mezzo e a sette le regala una copia del Concise Oxford Dictionary.

La serenità dell’infanzia è però interrotta in modo traumatico dalla nascita dei fratelli: «I soldi della nostra famiglia rimasero gli stessi, ma c’erano più persone da sfamare e da vestire, e così tutto si ridusse, non solo le cose materiali ma anche quelle emotive. Le cose belle ed emotive mi sono state tolte. Ma poi ho avuto più cose che non ho avuto, come un certo tipo di crudeltà e di abbandono».

La difficile situazione economica della famiglia e la distanza emotiva della madre le provocano un forte senso di isolamento ed è da questo nodo centrale che nascerà l’esigenza di scrivere. In un’intervista rilasciata al New York Times, Kincaid dichiara: «Il modo in cui sono diventata una scrittrice è stato che mia madre ha scritto la mia vita per me e me l’ha raccontata».

A soli diciassette anni lascia Antigua e si trasferisce a New York per lavorare come ragazza alla pari.
L’esordio nel mondo letterario comincia dopo alcune esperienze di studio e disparati lavori (receptionist, impiegata, segretaria): è il 1973 e Elaine sceglie lo pseudonimo di “Jamaica Kincaid”. Ha descritto questo cambiamento di nome come “un modo per [lei] di fare le cose senza essere la stessa persona che non poteva farle – la stessa persona che aveva tutti questi pesi”.
La scrittrice ha spiegato che “Jamaica” è una corruzione inglese di quello che Colombo chiamava “Xaymaca”, la parte del mondo da cui proviene, e “Kincaid” sembrava andare bene con “Jamaica”.

I suoi romanzi sono vagamente autobiografici, anche se Kincaid ha messo in guardia dall’interpretare i loro elementi autobiografici in modo troppo letterale: «Tutto ciò che dico è vero e tutto ciò che dico non è vero. Non si potrebbe ammettere nulla di tutto ciò in un tribunale. Non sarebbe una buona prova».

Secondo Henry Louis Gates, Jr, critico letterario, studioso, scrittore e intellettuale pubblico afroamericano, uno dei contributi della Kincaid è che: «Non sente mai la necessità di rivendicare l’esistenza di un mondo nero o di una sensibilità femminile. Li presuppone entrambi. Penso che sia una partenza netta e che sempre più scrittori neri americani assumeranno il loro mondo nel modo in cui lo assume lei. In modo da poter andare oltre il grande tema del razzismo e arrivare ai temi più profondi di come i neri amano, piangono, vivono e muoiono. Che, dopo tutto, è il senso dell’arte».

In una carriera e una vita costellata di pubblicazioni e riconoscimenti, in Italia possiamo leggerla grazie ad Adelphi che ha tradotto:
– In fondo al fiume, traduzione di Mirko Esposito (At the Bottom of the River, 1983), Adelphi 2011.
– Annie John, traduzione di Silvia Pareschi (Annie John, 1985), Adelphi 2017.
– Un posto piccolo, traduzione di Franca Cavagnoli (A Small Place, 1988), Adelphi 2000.
– Lucy, traduzione di Andrea Di Gregorio (Lucy, 1990), Adelphi, 2008.
– Autobiografia di mia madre, traduzione di David Mezzacapa (The Autobiography of My Mother, 1995), Adelphi 1997.
– Mio fratello, traduzione di Franca Cavagnoli (My Brother, 1997), Adelphi 1999.
– Mr. Potter, traduzione di Franca Cavagnoli (Mr. Potter, 2002), Adelphi 2005.
– Vedi adesso allora, traduzione di Silvia Pareschi (See Now Then, 2013), Adelphi 2014.
– Biografia di un vestito, traduzione di Franca Cavagnoli (Include i racconti “Biography of a Dress”, 1992, e “Putting Myself Together”, 1995), Adelphi 2023.
– Passeggiata sull’Himalaya, traduzione di Franca Cavagnoli (Among Flowers. A Walk in the Himalaya, 2005).

*** Ingresso libero fino ad esaurimento posti

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